
Coronavirus: quali eredità
La pandemia da covid-19, dilagata 5 anni fa, è stato un evento shock che ha attaccato violentemente ogni Paese del globo con impatti devastanti. Anche l’Italia, colta alla sprovvista, non ne è uscita illesa: al di là del timore collettivo da contagio, lo scontro con una realtà di incertezza e preoccupazione è stato avvertito con forza da ogni istituzione sul territorio nazionale. Anche dal sistema scolastico. La scuola è stata, uno dei primi organismi a dover adottare quelle misure di contenimento e prevenzione che hanno contribuito a modificare comportamenti radicati da tempo nel nostro sistema formativo. Per fronteggiare la diffusione del virus sono stati, infatti, riformulati spazi, tempi, strumenti e metodi d’apprendimento, secondo nuovi fattori valoriali, sociali e psicologici che hanno preso forma nella concretezza di uno scenario d’emergenza. Talvolta l’adesione ad un nuovo paradigma dipende -come nella fattispecie- non tanto dalla percezione di errori passati, quanto dall’intuizione di prospettive future, degne di essere perseguite. Nella gestione della crisi pandemica, infatti, compito del sistema educativo non è stato solo quello di trovare un rimedio per tamponare una situazione imprevista, quanto piuttosto quello di desumere dalle pratiche di emergenza ciò che avrebbe potuto configurarsi come duraturo, in termini di ripensamento globale della relazione educativa.
Diritto allo studio ai tempi del covid
Tra le misure di prevenzione messe in atto per fronteggiare la diffusione del virus, la sospensione delle attività didattiche in presenza ha comportato non solo un ripensamento delle pratiche di insegnamento/apprendimento, ma ha interdetto improvvisamente anche la partecipazione ad un contesto socio-educativo fondamentale per bambini e ragazzi. Nell’arco di pochi giorni si è venuto a creare un clima surreale. Percepito inizialmente come vacanza inusuale, è divenuto poi la nuova realtà con cui confrontarsi: molti materiali didattici erano inutilizzabili perchè rimasti nelle classi cui non si poteva più accedere, attività progettate da tempo (uscite didattiche, gite, recite e saggi) erano state annullate, incontri dal vivo con i pari e gli insegnanti interrotti. Le misure adottate per contrastare la pandemia, oltre a scompigliare una consolidata prassi educativa, hanno necessariamente implicato un distanziamento sociale che ha compromesso anche il processo apprenditivo, poiché l’interazione umana, che si genera all’interno di un’aula scolastica, ne è un fattore cruciale: facilita il processo di apprendimento e lo velocizza costribuendo alla crescita, all’acquisizione dell’autonomia e al benessere dei nostri ragazzi.
Nel marzo 2020, in piena epoca di lockdown, la frequenza scolastica è stata sospesa in tutti gli istituti di ogni ordine e grado, e sostituita dalla didattica a distanza (DAD) che è riuscita strategicamente a fronteggiare la situazione di emergenza nell’intento di sostenere la continuità dell’azione didattica e mantenere vivo il contatto tra docenti e alunni. Nel marzo 2021, un anno dopo l’esplosione pandemica, quando oltre la metà delle Regioni italiane è stata inserita nella “zona rossa” per arginare l’improvvisa e devastante impennata dei nuovi contagi da variante covid, la scuola ha fatto ricorso alla didattica digitale integrata (DDI), un’innovativa metodica fondata sulla combinazione tra azione didattica in presenza e a distanza. Ogni istituzione scolastica fu chiamata a predisporre un triennale Piano dell’Offerta Formativa (POF) che contemplasse la DDI in modalità complementare alla didattica frontale. Gli studenti della scuola secondaria di II grado, in particolare, dovevano seguire le lezioni da remoto per una quota pari ad almeno il 75% del monte-ore totale, in modo da coniugare adeguatamente analogico e digitale in modalità sincrona e asincrona.

Dopo due anni di grande incertezza e preoccupazione, l’a.s.2021/22 si è finalmente avviato con la frequentazione in presenza, fermo restando, da parte di ogni scuola, l’obbligo vaccinale per il personale (Green Pass) e l’impegno di assicurare il rispetto delle ordinarie misure di sicurezza adottando soluzioni organizzative e dotazioni infrastrutturali flessibili: dai famigerati banchi a rotelle (poi ritirati) all’accesso ridotto e contingentato persino ai servizi igienici; dalla corretta ripartizione del numero degli alunni negli spazi scolastici comuni agli obblighi di ventilazione, sanificazione dei locali e igienizzazione delle mani; dalla riduzione dell’unità oraria di lezione alla compattazione delle discipline sino alla turnazione delle videolezioni in modalità blended.
La strategia dell’educativo digitale
Condizione imprescindibile affinchè la didattica a distanza potesse tradursi in energia feconda e crescita significativa era che a tutti gli studenti fosse garantita la possibilità di usufruire di dotazioni di strumentazione digitale. Fino ad una cinquantina di anni fa si sarebbe palesato qualche tentennamento circa l’utilità del computer nell’educazione; in epoca pandemica il problema non è stato tanto se farne uso o meno, quanto piuttosto offrire a tutti un’ampia diffusione e un accesso generalizzato alle nuove tecnologie, riconosciute come opportunità e strumento strategico offerto dal sistema formativo nazionale. Purtroppo la sovraesposizione digitale ha rappresentato un fattore dannoso per gli studenti: a causa dell’uso prolungato di apparecchiature elettroniche, la DAD ha reso tutti più stanchi e distratti. Anche i docenti, che hanno dovuto sopportare lo stress generato da grandi cambiamenti sul posto di lavoro: l’interruzione della frequenza scolastica regolare e l’uso massivo delle nuove tecnologie hanno condizionato le loro vite professionali. Essi, infatti, hanno dovuto surrogare la didattica in presenza convertendo sic et simpliciter in modalità online e in sincrono la lezione frontale che avrebbero svolto in classe. Senza che la scuola italiana fosse preparata per un passaggio al digitale così repentino, che era previsto solo per il 2023.
L’epidemia del progresso
Le linee di frontiera si riferiscono oggi a nuove forme di interconnessione tra spazi fisici d’aula e spazi virtuali interattivi. Le TIC (tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione), nella loro ibridazione con gli spazi tradizionali della scuola, costituiscono oggi le condizioni materiali per far emergere nuove opportunità e nuovi modi di intendere la pedagogia. E la modalità didattica smart, da soluzione di emergenza ha cominciato a configurarsi come un approccio metodologico innovativo teso al potenziamento e all’integrazione della didattica in presenza
Certo è che 5 anni fa, con la sua presenza totalizzante, il covid-19 è riuscito ad accelerare il progresso tecnologico nella scuola mettendo in moto e perpetuato dinamiche inimmaginabili: grazie alla ‘scoperta’ di situazioni spaziali diverse dalle aule tradizionali, le lezioni a distanza continuano ancora oggi ad essere utilizzate nella scuola (al pari dello smart working nella pubblica amministrazione). Sotto questo rispetto non è forse azzardata l’affermazione secondo cui la contingenza epidemiologica ha rappresentato un’opportunità straordinaria per ripensare la complessa interrelazione che si stabilisce, in seno all’apprendimento, tra il sapere teorico e quello pratico, tra la concentrazione individuale e il lavoro collaborativo, tra spazi fisici e ambiti virtuali: muovendo da motivazioni igieniche, le scelte didattiche intraprese hanno raggiunto ben presto il piano delle istanze pedagogiche e didattiche.

I giovani e le conseguenze psicosociali del long covid
Dopo che le lezioni a distanza hanno, almeno per un periodo, modificato radicalmente il nostro modo di intendere e di praticare la didattica, era facilmente immaginabile che il ritorno a scuola non avrebbe potuto configurarsi come semplice ripresa delle attività didattiche in presenza, ma prefigurare spazi e modi con cui risignificare l’esperienza vissuta tra le ombre del contagio e le conseguenti limitazioni.
La lunga crisi pandemica ha determinato l’impoverimento delle dimensioni del processo formativo ed educativo degli studenti (gli apprendimenti, la socialità, l’affettività); la caduta della motivazione e dell’impegno soprattutto da parte dei soggetti più fragili e a rischio drop-out; le criticità emergenti da parte di studenti con disabilità, con disturbi specifici o con difficoltà di apprendimento. Ma è stata soprattutto la vita di relazione a trovarsi sconfitta, in quanto il virus ha relegato ciascuno di noi in una condizione di infermità relazionale, quasi una sorta di autismo quotidiano: una prospettiva esistenziale ancor più opprimente per coloro che, non disponendo di ambiti domestici adeguati o di spazi all’aperto in cui poter giocare, fare sport o stare a contatto con la natura, erano costretti a stare chiusi tra le mura domestiche.
Anche la gestione del vissuto emotivo ha accusato un forte contraccolpo. Trovandosi esposti alla difficoltosa atipicità di questa specifica situazione, bambini e ragazzi hanno subìto un forte impatto emotivo e magari hanno avuto poche occasioni per metabolizzare un insieme di esperienze dolorose. Molti giovani, per esempio, hanno perduto il compagno di banco o persone care senza il conforto di un saluto e senza gli onori di un funerale; molti hanno vissuto l’esperienza del ricovero ospedaliero di familiari o parenti senza poter fare loro visita; altri ancora hanno avuto genitori e parenti che lavoravano negli ospedali, e quindi vivevano separati dai familiari per molto tempo o vedevano ridotti al minimo i contatti.
Da qui, i nuovi paradigmi socio-culturali generati dalla pandemia. Primo fra tutti, lo stato d’incertezza da vivere come condizione: dopo anni nutriti della fiducia nella speranza storicista di un avvenire migliore, nella capacità della ragione di dominare il mondo e nell’affidabilità della scienza come sede di tesi incontrovertibili, il vivere nell’isolamento sociale davanti alle incognite della vita ha ingenerato sentimenti di impotenza e smarrimento. Oltre a problemi respiratori, stanchezza e difficoltà cognitive (in particolare, brain fog o sensazione di offuscamento), si sono registrati inconsueti casi di depressione e di ansia: il trauma da stress è stato così devastante da condurre molti giovani verso la necessità di assaporare sensazioni eccitanti, sia ricorrendo a vere e proprie forme di aggressività verso se stessi( suicidi, episodi di cutting e autolesionismo), sia aumentando il consumo di droghe o, nella migliore delle ipotesi, di antidepressivi com’è stato rilevato dalla OsMed, Agenzia Italiana del Farmaco. Ne discende il nuovo compito della scuola: dotare i giovani della capacità di gestire gli imprevisti e i cambiamenti imposti dall’evoluzione dei tempi, di orientarsi nella problematicità e incertezza del presente, e di governare il mondo a venire che sarà senz’altro connotato da un’accresciuta imprevedibilità. Resistenza, adattabilità, speranza, ricerca di significato della propria storia, senso di appartenenza, capacità di affiliazione e comportamenti prosociali, progettualità, impegno, creatività e fiducia sono gli ingredienti di cui dovranno alimentarsi i nostri giovani per poter sopravvivere e affrontare le sfide del domani.